La fotografia è impronta dell’immagine della realtà su un materiale fotosensibile (ne è l’indice), funziona come un occhio molto rudimentale.
Rappresentazione ed espressione appartengono anche alla pittura, ma il vissuto è solo della fotografia!
Se voglio fare una foto di Loreto devo recarmi là e scattare, per questo l’immagine fotografica ha un legame indissolubile con il luogo ed il momento in cui è stata fatta.
Lo spazio ed il tempo, il qui ed ora, in cui si svolge un attimo della vita, sono sempre l’annuncio implicito che ci dona una qualsiasi fotografia; anche solo per questo la fotografia è vissuto, ma l’immagine fotografica può andare oltre: può farci comunicare e comprendere il vissuto.
Il vissuto è traccia di un passaggio avvenuto nella realtà, è l’indice che qualcosa sta accadendo o è accaduto.
La fotografia, però, può anche comunicare i frutti della nostra intuizione, ma queste sono le immagini che riescono dire più di quello che mostrano.
Il vissuto conferisce alla fotografia un legame esistenziale. Esso può essere esteriore o interiore al fotografo: è esteriore quando si riferisce all’aspetto delle cose, è interiore quando rappresenta lo stato d’animo del fotografo attraverso il modo col quale egli ci mostra il mondo con le proprie immagini.
È vissuto anche il nostro scatto fotografico impulsivo, quello che non ci spieghiamo perché l’abbiamo fatto seguendo le misteriose attrazioni sentite del nostro sguardo vagante nella realtà.
Vissuto è provare l’ebbrezza della libertà espressiva grazie alla quale l’uso della fotocamera è talmente immediato da diventare naturale; uno stato di perfetta estasi nell’incontrare la vita.
Rappresentare il vissuto in una foto equivale farla magica, perché rende l’immagine viva; ha la dolcezza di un bacio o l’amarezza di uno schiaffo.
Il vissuto conferisce all’immagine fotografica una carica psicologica che può coinvolgere l’inconscio del lettore.
















