Vol. 42 – FILIBERTO GORGERINO – Autore dell’Anno 2003
- a cura di Giorgio Tani;
- 99 foto in bianco e nero
- interventi di: Giorgio Tani, Silvano Bicocchi, Cinzia Busi Thompson, Pier Emilio Ladetto, Sergio Magni, Claudio Pastrone
- cm. 22 x 23 – pagg. 120 – 2003
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Filiberto Gorgerino -“Ha appena terminato il suo allenamento.
La piccola nuotatrice ha sette anni ed è molto brava.
Però quegli occhi così segnati, malinconici.”
L’incontro fotografico, una vetrina dell’umano.
Nell’anno 1941 l’Italia alleata della Germania è impegnata in ampi scenari di guerre in Africa, in Grecia, in Jugoslavia, in Russia. Immediatamente dopo il 7 dicembre con l’attacco del Giappone a Pearl Harbor, Germania e Italia sono in guerra con gli Stati Uniti d’America. Tutta l’umanità è sconvolta dalla seconda guerra mondiale.
Nella calura estiva di quell’anno, mentre a giugno parte il primo contingente italiano per il fronte russo, nella pittoresca tranquillità di Gualdo Tadino, un imponente allestimento di tende dell’Esercito Italiano si distende nelle immediate vicinanze del paese con i suoi 800 uomini in armi.
Filiberto Gorgerino è un giovane biondo di diciannove anni che partecipa alle esercitazioni del campo estivo del Corso per Allievi Ufficiali di Fanteria di Rieti. Esperienza dura e selettiva, da tempo di guerra, che supera grazie alla sue buone doti psicofisiche.
Essendo Gualdo Tadino un piccolo paese, il regolamento militare proibisce le relazioni con la popolazione civile, in particolare quella di sesso femminile. All’imbrunire di uno degli ultimi giorni delle esercitazioni, Gorgerino torna dalla libera uscita insieme ad altri allievi, tutti con quel portamento di “tono” raccomandato dai superiori. Con l’andare timido e deciso di una farfalla, una ragazzina quindicenne si avvicina al gruppo e va incontro a lui per donargli un suo ritratto fotografico con dedica: “Il mio sorriso, il mio ricordo, ti accompagni sempre”.
Gesto non insolito in quei tempi di guerra dove i soldati erano visti dalla popolazione come eroi e godevano quindi di un alto prestigio sociale.
L’inaspettato e coraggioso gesto della ragazzina colpisce il giovane. Sentitosi intimamente coinvolto in quel sorprendente momento, osserva intensamente l’atteggiamento di lei, il volto sconosciuto che lo sta guardando mentre gli va incontro. Inconsapevolmente egli imprime nella memoria la sua prima fotografia mentale, un innesco fecondo per l’ampia serie di fotografie che realizzerà trent’anni dopo.
Il vissuto
Filiberto Gorgerino nasce a Moncalieri nel 1921 da Giuseppe Gorgerino e Onorina Baracchini. Il padre è direttore di banca, la madre casalinga è di origine friulana. Primo di due fratelli, fino all’età di diciannove anni vive a Moncalieri che allora contava 16.000 abitanti, comprendendo anche le frazioni.
La sua vita di ragazzo si svolge nella piazza cittadina e nei suoi dintorni, per recarsi alle vicine scuole elementari, poi al liceo classico. Completati gli studi si iscrive alla facoltà di Medicina dell’Università di Torino e successivamente a Modena. Nel 1941 viene chiamato al servizio militare che lo impegna fino al 1943; nell’esercito raggiunge il grado di Sottotenente di Fanteria.
Tornato alla vita civile, riprende l’Università. Nel 1944 al richiamo militare della Repubblica Sociale, nell’alternativa data tra il ritorno in caserma e l’andare a lavorare in un’industria bellica, sceglie quest’ultima anche se ciò comporta la perdita del grado militare raggiunto. Lavora quasi un anno in una fonderia di ghisa della sua città. L’esperienza lavorativa è interrotta da una violenta aggressione da parte di una ronda fascista nella piazza di Moncalieri, subita la quale decide di “andare in montagna” e aderire alla lotta partigiana fino alla liberazione del 1945.
Ritorna allora agli studi universitari, ma ormai in lui si è formato l’uomo adulto che non accetta più la dipendenza economica dalla famiglia e nel 1948 lascia definitivamente gli studi per iniziare l’attività di Rappresentante di Commercio. Nel 1952 si sposa e nel 1954 nasce Gian Paolo il suo unico figlio; si trasferisce a Viareggio iniziando l’attività di Rappresentante di zona. In quest’ambito riceve una formazione professionale di alto profilo, nella quale apprende le tecniche di relazione umana finalizzate allo sviluppo delle vendite. Nel 1958 coglie un’impegnativa opportunità assumendo il ruolo di “Ispettore generale” ed “Organizzatore delle vendite” di tutto il territorio italiano.
In questa funzione, professionalmente importante, seleziona e addestra il personale di vendita. Un mestiere che richiede l’incessante viaggiare al ritmo di 90.000 Km all’anno, da Nord a Sud, in un’Italia senza autostrade in pieno boom economico. La sua esistenza, caratterizzata da una continua trasferta, assume sempre più il carattere di una vita pubblica che lo porta a cambiare quasi ogni giorno il luogo nel quale abita e la gente tra cui vive. Dopo circa 10 anni conclude quest’esperienza e apre a Torino un magazzino di vendita all’ingrosso che tuttora gestisce col figlio.
Dal Bar al circolo fotografico.
Nei periodici ritorni a casa, durante il periodo del suo lavoro itinerante, frequentava il bar “Frejus” di Moncalieri.
Il bar, luogo d’incontro pubblico, diventa anche un ambiente privato nel momento in cui si crea un gruppo di amici che relaziona mentre gioca al biliardo a stecca. Dal 1968, anno in cui ritorna ad abitare nella sua città natale, la frequentazione del bar diventa un’abitudine che scandisce i ritmi della giornata lavorativa e festiva. Ritrova il piacere del rapporto con i vecchi amici e con la piazza di Moncalieri, carica di ricordi. E’ un “ritorno a casa” nella sua città che in quegli anni è diventata un grande quartiere dormitorio della Torino industriale toccando i 70.000 abitanti.
Nel 1969 al bar gli giunge tra le mani una piccola fotocamera che lo affascina come oggetto e che subito acquista. Inizia a fotografare e a fianco del biliardo cominciano ad apparire le stampe fotografiche, poi messe in bella mostra ad una parete del bar. Contamina tutti gli amici che a loro volta cominciano a fotografare in bianco e nero giungendo a sviluppare e stampare in proprio.
Avvia un’attività simile a quella di un circolo fotografico senza seguire modelli di riferimento. Già allora il gruppo di amici si cimentava nello svolgere collegialmente una tematica; il primo tema fu “La ruota”. Nel 1971 inizia a frequentare il Fotocolor Club di Trofarello, l’attuale “Foto Club A. Neyrone Trofarello” nel quale affina le conoscenze tecniche con gli insegnamenti di un insuperabile Alessio Miglino. Trova un circolo molto evoluto i cui soci già stampavano in proprio la fotografia a colori. Sono gli anni in cui conosce Claudio Pastrone e Renato Longo. Inizia a conoscere e ad agire nell’ambiente FIAF, è eletto Presidente del Circolo, poi Delegato di Zona, Delegato Regionale ed infine Consigliere Nazionale per 6 anni dal 1981 al 1987.
In questi anni i suoi ritratti vincono numerosi Concorsi Fotografici, la sua opera ed il suo pensiero sul linguaggio fotografico appassionano i fotoamatori associati alla FIAF. Avvia un intenso rapporto con i Circoli fotografici italiani che lo riporta a viaggiare la penisola per condurre incontri sulla sua fotografia in oltre duecento serate in località disseminate in tutto il paese.
La tematica
Nella frequentazione del “Foto Club A. Neyrone Trofarello” affianca, al tema preferito del ritratto, numerosi progetti di ricerca fotografica rivolti alle comunità del territorio piemontese. L’orientamento col quale Gorgerino invita gli amici di circolo ad affrontare queste tematiche è quello di scoprire la realtà fotografando la gente.
Ne nascono storie di lucida narrazione, alla ricerca delle peculiarità etniche, con immagini che esplorano l’umanità che vive in un determinato luogo, cogliendo il singolo, le relazioni tra le persone residenti e tra la gente ed i luoghi. Nascono così importanti opere, che Gorgerino realizza insieme agli amici di circolo, tutte in bianco e nero, presentate sia in forma di stampe sia in proiezione di diapositive, ottimali per condurre delle serate presso altri circoli:
- “Castiglione Falletto, Terre del Barolo”. Realizzato in tre serie, in anni diversi.
- “Mango, Paese langarolo” località delle Langhe.
- “Neive , Ritratto di un paese delle Langhe”. Vincitore del Premio Kodak per il miglior libro fotografico in menabò a Trento nel 1987.
- “Coumboscuro, terro de roumiage”, realtà provenzale delle alpi cuneesi.
- “Trofarello, i giovani”.
- “Trofarello, trentenni fa”, realizzata in occasione di “Era l’Italia”.
- “Raunheim”, città tedesca gemellata con Trofarello.
- “Le Teil”, città francese gemellata con Trofarello.
- “Annecy, un dimanche français”, città della Savoia.
- “Chambery, capitale della Savoia”.
Questi temi hanno permesso di attivare profonde relazioni tra i componenti del Circolo e le comunità soggetto delle loro ricerche, facendo riscoprire le radici etniche comuni anche con la comunità francese della Savoia. Queste opere oltre che essere un’attività di alto profilo del “Foto Club A. Neyrone Trofarello” hanno permesso a Gorgerino, supportato dagli amici del circolo, di svolgere quell’azione di divulgazione della cultura fotografica che continua tuttora.
Il processo creativo
Alla base del proprio processo creativo Gorgerino pone l’incontro umano. Non a caso egli predilige il medio tele da 105 mm. Sente la necessità di essere ad una distanza tale da non condizionare con la sua presenza il soggetto e sufficientemente vicino da ricevere la percezione completa della persona, persino il suo odore.
Sono molteplici le necessità interiori che regolano il suo fotografare:
- Scegliere il soggetto.
- Non fotografare nascostamente, ma apertamente mettendo in gioco le sue qualità umane e abilità relazionali.
- Riuscire a coinvolgere il soggetto in questo slancio creativo fino a cogliere il dono del suo sguardo in macchina.
Quindi fotografa persone, preferibilmente scelte tra gli sconosciuti che incontra casualmente per strada, nei bar, in ogni luogo, e infine scatta la fotografia nell’ambito del rapporto umano instaurato.
Facile da dire ma difficile da fare. Una volta visto il soggetto in lui si avvia il processo creativo con un’appropriata strategia di aggancio. La macchina fotografica, non troppo appariscente, può essere il pretesto per iniziare a parlare alla persona, chiedendo di poterle scattare una fotografia.
Se trova la disponibilità inizia la fase della messa in posa, che lo porta a scegliere uno sfondo preferibilmente scuro, dato da un portone, da un tronco d’albero o altro. Gli può capitare d’incontrare la persona quando è sprovvisto di fotocamera, oppure trovare un’ampia disponibilità del soggetto a farsi fotografare; allora propone “l’incontro fotografico” che terrà nella semplice sala di posa che ha allestito a casa sua. Tra persone che si conoscono solo da qualche istante, normalmente il soggetto assume un comportamento comprensibile tra il curioso ed il sorpreso.

Filiberto Gorgerino – “Della giovane mi affascinò il bell’ovale e la grazia del suo viso, mi ricordava i ritratti di Modigliani
Gorgerino guida l’incontro conducendo il soggetto verso atteggiamenti espressivi del proprio modo d’essere e quindi scatta le fotografie. Tra le numerose foto c’è anche quella che la persona si aspetta e che riceverà in dono, ma non è sempre quella che l’autore sceglie per la sua ricerca.
Spesso egli sceglie per sé quella che ha scattato, con la scusa di misurare la luce, cogliendo a sorpresa espressioni non controllate dal soggetto, in un atteggiamento sospeso di attesa.
Gorgerino, quindi, fotografa il volto che corrisponde alla relazione che è riuscito ad instaurare con la persona.
Ciò è per lui l’espressione appassionata della risultante che nasce dall’improvviso incontro tra la gente ed il suo bagaglio di esperienze consce ed inconsce. Nella sua visione ci sono zone d’ombra che vengono rischiarate dall’inconscio ottico” . Questi dettagli, che egli sente nell’intimo, li vedrà solo dopo nell’ingrandimento fotografico.
Il ritratto desiderato, normalmente, egli lo trova tra i primi scatti; ha imparato che, con la fotocamera all’occhio, in un volto “più gli si gira attorno e meno si trova”.
Nasce quindi un’iconografia del volto umano di persone incontrate casualmente per strada, di sorprendente ricchezza nella capacità di narrare il vissuto, realizzate nello spontaneo svilupparsi di un incontro fotografico.
La poetica
Filiberto Gorgerino è un uomo estroverso. Nella vita ha imparato a conoscere le persone dal loro modo di presentarsi, dall’espressione del volto, dallo sguardo, come quando nella funzione di “Organizzatore delle vendite” selezionava il personale attraverso un breve colloquio col candidato.
Questa attività ha sviluppato in lui un’acuta sensibilità nel comprendere rapidamente il carattere umano.
Attitudine preziosa che nella fotografia trova il mezzo per comunicare, con il linguaggio visivo, l’idea che ha inspirato in lui una determinata persona. Nel fotografare non cerca più le attitudini professionali ma la rivelazione di storie di vita.
Nei suoi ritratti, realizzati in un prezioso bianconero, vediamo espresse delle identità umane, ma questa nostra prima impressione va ben orientata.
Egli non vuole definire la persona. Al momento dello scatto la sua visione organizza gli indizi necessari a rappresentare quel personaggio di storie umane che l’apparizione casuale del soggetto gli ha acceso nella mente. L’intuire l’appartenenza di una persona ad una “storia” muove in lui l’urgenza espressiva.
Nello slancio interiore che lo porta a contattare il soggetto c’è già tutta la profondità della poetica che lo porterà allo scatto.
Il personaggio che ci appare nelle sue fotografie potrebbe anche fatalmente esprimere la vera natura umana della persona, data la sua conoscenza dell’uomo, ma questo è da intendersi puramente casuale.
Volti di tutte le età sollecitano il complesso del vissuto dell’autore, facendo riemergere ricordi, generando nuove intuizioni, e facendogli assumere atteggiamenti di promozione della discussione collettiva che lo porteranno a giustificare quel pronunciare in pubblico i suoi: “perché, non sorridono?”.
Egli studia l’umanità con la fotografia in molteplici modi: la foto del singolo, la sequenza fotografica nella quale segue la narrazione che si sprigiona dal mutamento fisionomico, oppure la fotografia del gruppo di persone, dove l’intrigante differenza degli atteggiamenti diventano un’attenta lettura del comportamento umano di quel momento.
Le proporzioni di ripresa cambiano se vuole comunicare un significato mediato, facendo apparire elementi ambientali a completamento della rappresentazione, o immediato, quando l’angolo di visione si stringe attorno al volto del soggetto.
I suoi ritratti, che emergono dal buio, sono decisamente incisi dalla luce. I contorni nitidi indagano il volto in ogni sua piega, la larga gamma tonale genera il volume alla forma fisionomica, la leggibilità di ogni dettaglio connota l’idea che l’autore vuole dare.
Il risultato è quello di celebrare il personaggio caricandolo di una forte “aura” nel senso che ci porta a vedere “l’apparizione unica di una lontananza, per quanto possa essere vicina” .
Queste parole di Walter Benjamin, che possono essere intese anche come una bella formulazione del concetto di “visione”, nello specifico delle immagini di Gorgerino sono particolarmente appropriate: “l’apparizione unica” dà forma alla folgorazione suscitata in noi dai suoi ritratti e la “lontananza per quanto possa essere vicina” ben giustifica il senso di mistero che avvertiamo nelle sue immagini.
Conclusioni
In rapporto ai costumi della nostra società contemporanea, che predilige la fiction e in cui dilaga inconsapevolmente la poetica del postumano, l’opera di Gorgerino brilla come la stella polare in un cielo dal colore nero inchiostro. Egli inizia a fotografare le persone negli anni settanta, epoca questa caratterizzata da una grande attenzione alle condizioni della vita umana; dalla presa di coscienza dei diritti civili dell’uomo, alla sua responsabilità nel governare la propria storia. È il periodo della “contestazione” che si intreccia con la vita di un uomo che, per la sua storia, proviene da un mondo eticamente molto più lontano dei suoi cinquant’anni d’età.

Filiberto Gorgerino – ” Nessun sorriso. Uno sguardo duro, una scelta politica di lotta, forse di violenza.”
Gorgerino appartiene alla generazione che ha costruito la democrazia italiana. Gente che è stata modellata dalla realtà tragica degli anni ’40 in cui la risorsa più importante era l’attitudine personale nel sapersi adattare alla crudezza del vivere. Poi gli operosi anni ’50 ricolmi di un respiro di fiducia nell’avvenire, che ancora con la concreta fatica del fare danno vita all’Italia del boom economico.
È una generazione che ha imparato a reagire, a creare, a intraprendere e anche oggi sa instaurare un dialogo concreto e rivelatore con la complessa umanità contemporanea. Non c’è da stupirsi se Gorgerino desidera incontrare a viso aperto i suoi soggetti, conoscerli, in un certo senso comprenderli con la sua fotografia. Favorito dal suo carattere aperto, ha imparato nella vita l’importanza decisiva che ha il dialogo tra le persone. A noi, nati in altre epoche più recenti, colpisce nella sua fotografia la capacità di realismo e poesia, e la forza della sua umanità che riesce a sciogliere ogni rigidità nell’uomo fino a rappresentarne fotograficamente l’aspetto più intimo.
Per lui che fotografa con il solo intento di esprimere i propri valori umani, le persone importanti sono quelle semplici che ogni giorno ha al suo fianco. E’ per il dono del loro sguardo espressivo in macchina che si sente intimamente realizzato. Il riuscire ad ottenere l’immagine desiderata è una nuova conoscenza che si somma alle altre già vissute. In questo ciclo virtuoso, in Filiberto Gorgerino continua a crescere un uomo sempre più vivo e ricco interiormente, capace di esternare la propria conoscenza della vita con la fotografia.

















