Vol. 58 – FERRUCCIO FERRONI – Autore dell’Anno 2006
- a cura di Giorgio Tani;
- 81 foto in bianco e nero
- introduzione di Fulvio Merlak;
- interventi di: Giorgio Tani, Piergiorgio Branzi, Manfredo Manfroi, Silvano Bicocchi, Cinzia Busi Thompson;
- cm. 22 x 23 – pagg. 119 – 2006
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Biografia
Ferruccio Ferroni è nato a Mercatello sul Metauro (Pesaro) nel luglio del 1920.
È venuto a mancare a Senigallia (Ancona) il 5 settembre 2007.
Ha esercitato la professione di avvocato fino al 1992.
Ha iniziato a fotografare nell’anno 1948, sotto la guida di Giuseppe Cavalli. Nell’anno 1950 ha partecipato al “Grand Concours International de Photographie de Camera 1950” a Lucerna, ottenendo il quarto premio per il complesso delle opere.
Nell’anno 1957 ha sospeso la sua attività fotografica, a causa degli impegni professionali, riprendendola nel settembre 1984.
Ha partecipato a numerose ed importanti mostre in Italia ed all’estero (soprattutto in Francia ed in Germania): in particolare sue fotografie sono state presentate alla “Esposizione Internazionale Fotografica” – Palazzo dell’Arte di Milano – nell’anno 1952; alla “Mostra della Fotografia italiana 1953” – Galleria della “Vigna Nuova” di Firenze; alla “Mostra Nazionale di Fotografia ad invito” di Ravenna negli anni 1951, 1952 (con un’opera premiata), 1953, 1954 e 1955; alla “Mostra della Fotografia Italiana” a Cà Giustinian di Venezia negli anni 1952-1956; alla “Subjektive Fotografie 2” – 1954/1955 organizzata dalla Scuola di Stato delle Belle Arti di Saarbrucken (Germania), diretta dal Dott. Otto Stei-nert; alla “Biennale de la Photo et du Cinema” di Parigi dell’anno 1955; alla “Exposition Internationale de Photographies” nell’anno 1957, organizzata dalla Galleria “Aujourd’hui” del Palazzo delle Belle Arti di Bruxelles e dalla Scuola delle Belle Arti di Saarbrucken, tenuta a Bruxelles, l’Aia, Colonia e New York (soltanto due italiani: Monti e Ferroni, con dieci opere ciascuno); all’esposizione “30 anni di Fotografia a Venezia” – “La Gondola” 1948-1978, Palazzo Fortuny, Venezia; alla V Biennale Internazionale di Fotografia “Mediterranea” di Torino nell’anno 1993, con 30 fotografie; alla Mostra Fotografica “Gli anni de “La Bussola” e de “La Gondola” nella Fiera di Padova del 1995. Sue fotografie fanno parte della Collezione permanente della “Subjektive Fotografie” diretta dal Dr. Otto Steinert, presso la Fondazione Fotografica del Museo Folkwang di Essen (“Architettura della materia” e “Ballerini”); della Raccolta del Museo d’Arte Moderna e dell’Informazione del Comune di Senigallia (al quale ha donato 70 fotografie in data 12.XII.1988 ed in data 20.IV.2000); del Gabinetto delle Stampe della Biblioteca Nazionale di Parigi (7 fotografie scelte nell’agosto 1995 dal Prof. Jean-Claude Lemagny); della Raccolta della Fondazione “Italiani per la fotografia” di Torino e della Raccolta F.I.A.F (1996) e della Raccolta del Museo di Storia della fotografia “F.lli Alinari” di Firenze (1997).
Ha tenuto mostre personali a Milano (1952), a Roma (1953), a Senigallia (1988), a Urbino (1990), a Lecco (1991), a Savignano sul Rubicone (1992), a Lòrrach (1996) ed una antologica a “FotoPadova” (1996). “Immagini inventate”, una mostra con 145 delle sue fotografie, è stata organizzata nel maggio del 1999, presso Villa Vitali, dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Fermo in collaborazione con il Circolo di Confusione e con il patrocinio della Regione Marche. La stessa mostra veniva poi presentata -a cura della Regione Marche anche presso il Pio Sodalizio dei Piceni di Roma dal 1 al 10 luglio 1999 (con catalogo pubblicato dal Consiglio Regionale delle Marche); quindi presso il Museo d’Arte Moderna e dell’Informazione di Senigallia dal 15 luglio al 12 agosto 1999 ed infine nel dicembre 2000, presso Villa Murri a Porto S. Elpidio.
Il libro “Immagini inventate” otteneva un premio speciale, in occasione del Premio “Foto Padova 1999” al miglior libro fotografico. Sempre in occasione di “Foto Padova Fiera”, nel 2003, gli veniva conferito il riconoscimento “Dietro l’obiettivo una vita”. Dopo la partecipazione ad alcune mostre di gruppo, organizzate dal rappresentante provinciale della FIAF negli ultimi anni, ha partecipato (maggio-luglio 2005) alla mostra “Anni Cinquanta. La nascita della creatività italiana”, sezione fotografia, tenutasi presso il Palazzo reale di Milano.
È stato membro del Circolo Fotografico “La Gondola”, sotto la direzione di Paolo Monti, e della Associazione Fotografica “MI-SA”, sotto la direzione di Giuseppe Cavalli. Nel 1996 è stato insignito del titolo di “Maestro Fotografo Italiano” dalla Federazione Italiana Associazioni Fotografiche – F.I.A.F.
Il mondo nuovo, di un visivo visionario.
Le giornate trascorrevano sospese tra il passato ed il futuro, in quella primavera del 1947 nel Sanatorio di Vecchiazzano (FO). Il giovane Ferruccio Ferroni, di 27 anni, ammalato di tubercolosi incominciava a sperare nel domani, dopo avere visto troppe volte la morte in faccia.
L’ambiente del sanatorio era gremito da tanta gente, di ogni sesso ed età, che come lui curava le ferite che la guerra aveva lasciato loro nel corpo e nello spirito; egli si sentiva un miracolato. In quell’approdo dopo la tempesta, nella sua mente si era avviata l’elaborazione di quegli anni spaventosi trascorsi nei campi di sterminio Nazisti, ma anche di quelli utili degli studi all’Accademia Militare, e ancor prima di quelli dolci del liceo a Senigallia.
In cuor suo, però, ancora bruciava il 1938, l’anno della legge sulla “Difesa della razza”, quando al suo intimo amico Mario Terni fu proibito di frequentare la scuola perché ebreo. In seguito a quella vicenda, tutti in classe sentirono con asprezza il triste presagio, del terribile futuro che incombeva sull’Europa intera. Mario Terni, Corrado Becci, Silvio Spinaci e Ferruccio erano quattro amici inseparabili che, con l’appagante rapporto umano instaurato tra loro, non sentivano nemmeno l’urgenza di un contatto più stretto con l’altro sesso e disertavano i raduni ai quali il regime perentoriamente chiamava tutti i giovani a partecipare.
La sottile sabbia della spiaggia di Senigallia, era il loro naturale terreno che, con la tattilità dei loro piedi nudi, promuoveva un sentimento d’appartenenza a questa città di mare. Nelle lunghe passeggiate sulla battigia parlavano di tanti problemi, e si appagavano della bellezza del mare Adriatico, allora puro e col vento impregnato di salsedine che rimandava a luoghi lontani, là oltre la linea dell’orizzonte che appariva loro terso e sconfinato.
In sanatorio incontrò in Olivo Peressutti, che era il direttore del Laboratorio di analisi, un amico che gli permise di entrare a contatto col laboratorio radiologico e usare le attrezzature. Iniziò allora a fotografare ciò che da sempre attirava il suo sguardo: le superfici corrose del legno esposto alle intemperie, quando la luce radente pone in evidenza la fatica della materia. Fu allora che capì di essere un “visivo visionario”.
Il vissuto
Ferruccio Ferroni nasce a Mercatello sul Metauro (PS) nel 1920, primogenito di quattro fratelli. Il padre Pietro di Mosciano S. Angelo (TE) (1889 – 1977) e la madre Berenice Benedetti di Mercatello sul Metauro (1893- 1980) erano entrambi insegnanti delle scuole elementari. Dal loro matrimonio nacquero Ferruccio, Ida, Ferrante, Liliana.
Subito dopo la nascita del figlio Ferruccio la famiglia Ferroni si trasferisce a Belforte all’Isauro, una località montana posta in prossimità del confine con la provincia di Arezzo, dove rimane per quattro anni per poi trasferirsi definitivamente a Senigallia nel 1924, in seguito all’accoglimento della loro domanda di trasferimento alle scuole della cittadina anconitana.
Ferruccio Ferroni frequenta, a Senigallia, le Scuole Elementari, il Ginnasio e poi il Liceo Classico, nonostante la sua profonda passione anche per le materie scientifiche. Prosegue gli studi grazie all’ammissione nel 1940 all’Accademia Militare di Modena. Nel 1942 col grado di Sottotenente è imbarcato con le truppe per il fronte dell’Africa settentrionale, ma durante il viaggio viene destinato all’isola greca di Rodi.
Nel 1943 in seguito all’armistizio dell’8 settembre, Ferroni si trova coinvolto nei tragici scontri tra le truppe italiane e quelle tedesche. Dopo strenui combattimenti viene fatto prigioniero ed inviato, con un viaggio di 15 giorni, in treno su carri merci da Atene a Varsavia nel campo di smistamento polacco di Siedlce.
Nel dicembre del 1943 in quell’ambiente a venti gradi sotto lo zero rifiutò di aderire alla Repubblica Sociale Italiana e il prezzo da pagare fu l’esperienza prima nel carcere di massima sicurezza della fortezza di Ivangorod, poi nei campi di concentramento nazisti di Deblin, Sandbostel e Wietzendorf fino al 22 aprile del 1945 quando una pattuglia esplorante dell’esercito inglese entrò nel campo liberando i prigionieri.
Quando gli sono prestate le prime cure mediche pesa solo 39 Kg. Dopo un breve periodo di riabilitazione a fine agosto del 1945 riabbraccia a Senigallia i propri cari. Finisce un incubo per la famiglia Ferroni che per lunghi mesi era rimasta all’oscuro del destino del loro caro. Di quella esperienza il 23 novembre del 1954 scrive a Vincenzo Balocchi: “ Non ho da rimproverare alla mia coscienza slealtà o cattiveria, avendo imparato più ad amare che ad odiare.
La prigionia in Germania (mi immagino che lei sappia che cosa è stata per tanti che l’hanno vissuta) mi ha insegnato proprio questo. Tutto ciò lo sa anche Cavalli. Molte volte, del resto, gli ho detto che non mi dispiace di aver avuto quell’esperienza dolorosa a ventitrè anni. Ed oggi infatti penso a quel tempo come ad una necessaria esperienza, che ho avuto la “fortuna” di vivere”.
La forte fibra dell’uomo permette un rapido recupero fin da dover riprendere incarico nell’esercito italiano in un reggimento di paracadutisti. Ma dietro il buon aspetto esteriore si annida la tubercolosi che lo esonera dalla vita militare e lo porta a curarsi al Sanatorio di Vecchiazzano (FO) dall’agosto del 1946 al giugno 1948. Tornato a casa trascorre un periodo di convalescenza a Belforte all’Isauro ospitato da amici di famiglia, poi si applica agli studi Universitari e si laurea in giurisprudenza nel 1953. Inizia l’attività d’avvocato che condurrà fino al 1992. Nel 1954 sposa Lidia Barucca, dal loro felice matrimonio nascono due figli: Annalisa e Luigi.
L’esperienza fotografica
All’età di 16 anni casualmente in Ferruccio Ferroni nasce la curiosità fotografica in seguito all’incontro occasionale con un turista di passaggio che gli permise di portare all’occhio il mirino della sua Leica. L’immagine che egli vide attraverso la fotocamera lo folgorò, perché gli sembrava un “mondo nuovo”; da allora si senti attratto da questo mistero racchiuso nella macchina fotografica.
Poi, dopo l’Accademia Militare, appena gli fu possibile acquistò una fotocamera Contax, che aveva un mirino simile alla Leica, ed iniziò ad esercitare la fotografia di ricordo. Durante il periodo, bellico nell’inferno dei lager nazisti trovò di nuovo una Contax, questa volta però nascosta in una borraccia dal compagno di prigionia il capitano Sassi di Sassuolo (MO), utilizzata per riprendere, a rischio della vita, i momenti del campo.
Ancora una fotocamera Contax, nel 1947, quella del Dott. Olivo Peressutti di Campoformido (UD), torna tra le sue mani durante la degenza al Sanatorio di Vecchiazzano. Quei due anni trascorsi in sanatorio sono il periodo in cui matura la sua vera passione fotografica. E’ allora che incomincia a prendere confidenza con lo sviluppo dei negativi e assimilare inconsapevolmente i princìpi della composizione dalla lettura di “Life”.
Altro aspetto determinante per la sua crescita artistica è l’ampliamento delle proprie conoscenze umanistiche, leggendo i testi fondamentali della letteratura francese, inglese e americana. Dal sanatorio esce con una Voitglander Vito (35 mm) e col suo primo libro di tecnica fotografica il “Guida”, che l’orienta nella tecnica dello sviluppo e la stampa realizzate con attrezzature elementari acquistate da un grossista di materiale fotografico di Senigallia Comm. Tarini. In quel periodo, per necessità interiore, realizza degli still-life in bianco e nero di legni corrosi dalle intemperie, con superfici tormentate, che la luce radente pone in particolare rilievo.
Il Comm. Tarini, vedendo queste strane fotografie, gli chiese di poterle mostrare all’Avv. Cavalli. Egli acconsentì, un po’ a malincuore dovendosi separare dalle proprie immagini. Una settimana dopo ritornò a ritirare le fotografie, ed ebbe occasione di conoscere Cavalli per la prima volta. Questi ” … mi chiese – la ragione di quelle fotografie – ed io gli dissi che mi piacevano. “Ma lei è soddisfatto? – e allora mi scappò detta una frase secondo la quale “la persona soddisfatta rischia di essere un imbecille”. Cavalli mi guardò sorpreso e mi chiese:”…lei ha letto Chesterton?. Io annuii. Non so se fece più colpo in lui questa frase, che io dissi, piuttosto che le fotografie: sta di fatto che da allora iniziai la frequentazione di quell’uomo per me sconosciuto.”
Fu così che Ferroni conobbe, a fine agosto del 1948, il quarataquattrenne Avv. Giuseppe Cavalli, allora leader indiscusso della fotografia italiana che da poco, nell’aprile del 1947 a Milano, aveva scritto, insieme con Mario Finazzi, Ferruccio Leiss, Federico Vender e Luigi Veronesi, e poi pubblicato nel maggio dello stesso anno sulla rivista Ferrania, il programma del Gruppo Fotografico “LA BUSSOLA”.
Le affermazioni contenute nel programma scossero l’ambiente fotografico italiano e Paolo Monti, scriverà nel 1980 nella presentazione del volume “Trent’anni di fotografia a Venezia – Il circolo La Gondola 1948-1978” :”Questo pensare e il fare fotografie come le immagini create dai fotografi de La Bussola ci incoraggiavano a impegnarci seriamente quando proprio in quei giorni veniva creata a Torino la Federazione italiana associazioni fotografiche che subito entrò a far parte della Fédération internazionale de l’art photographique, così subito si decise che bisognava fare un nuovo circolo fotografico veneziano e aderire immediatamente alla Federazione italiana, ormai ammessa in campo internazionale.
Elenco in ordine alfabetico i quattro fondatori del gruppo fotografico La Gondola: Gino Bolognini, Giorgio Bresciani, Paolo Monti, Luciano Scattola”.
Dal 1949 al 1952 Ferroni segue diligentemente gli insegnamenti di Cavalli, aiutandolo anche come assistente nelle riprese di fotografie ormai famose, come “La pallina” (1952). Si compie in questi tre anni l’apprendistato artistico alla fotografia di Ferroni, dove l’influenza del maestro prevale anche sul gusto personale, perché egli applica diligentemente anche alla propria fotografia le tecniche e lo stile a toni alti dell’illustre fotografo.
Un periodo non privo di grandi soddisfazioni come il sorprendente 4° Premio per “Il miglior complesso di opere” al “Grand Concours International de Photographie de Camera 1950” organizzato dalla rivista elvetica. Dal sapiente maestro, divenuto anche intimo amico, impara ad apprezzare la poesia, la musica ed incomincia ad allargare le proprie conoscenze tecniche e culturali del mondo fotografico nazionale e internazionale.
In particolare a Cavalli giungono molte pubblicazioni fotografiche anche dagli USA: è allora che vede per la prima volta le fotografie di autori destinati a lasciare una decisiva influenza in lui Edward Weston e Minor White. Inizia a seguire con passione le riviste fotografiche italiane ed estere e poi i cataloghi dei concorsi fino a entrare a contatto con l’ambiente fotoamatoriale italiano.
Il maestro lo invita a seguirlo nel 1949 a Milano in occasione della seconda mostra de “La Bussola”, allestita nel ridotto del Piccolo Teatro. Conoscere i fotografi componenti il prestigioso gruppo, constatare l’interesse dei visitatori davanti alle fotografie, lo entusiasma perché comprende tutta la dignità culturale dell’opera fotografica.
È la seconda volta che la gente estranea ai circoli fotografici rimaneva sorpresa dalle possibilità artistiche della fotografia dimostrate da “ La Bussola”. Cavalli nel 1952, giudicandolo ormai maturo per la sfida espositiva, lo presenta a Monti indicandolo come candidato socio del Circolo Fotografico “La Gondola” di Venezia, fondato solo 5 anni prima nel dicembre del 1947. Egli è accolto con entusiasmo e rimane in quel sodalizio fino al 1954.
Dal 1952 al 1954 Ferroni entra nell’ambiente della fotografia militante italiana, termine col quale definisco il rapporto con la fotografia dei fotografi dell’epoca che troviamo ben espressa nelle parole di Pietro Donzelli, apparse su Ferrania del giugno 1951, a commento della Mostra della Fotografia Europea organizzata a Milano dall’Unione Fotografica: ”Ci auguriamo che essi abbiano visitato questa mostra e riconosciuto la bontà degli intendimenti di coloro che della fotografia si sono fatti una ragione di vita oltre che un motivo di elevazione spirituale. Avranno pure riconosciuta la serietà di quei movimenti rinnovatori che taluni non hanno esitato a definire puramente frondisti. Non forma esibizionistica avranno trovato in essi, ma solo un grande amore per l’arte e un sincero desiderio di ricerca di libertà e di rinnovamento spirituale”.
Altro esempio indicatore di questa mentalità impegnata ce lo dà Monti nel 1953, quando termina la presentazione della “Quinta mostra nazionale della FIAF” con queste parole: “Si vorrebbe poi vedere in molte buone fotografie una fantasia più risentita, direi più rischiosa e in molte altre un gusto più sorvegliato dell’inquadratura, una esattezza più raffinata e anche una più sicura intelligenza delle possibilità grafiche della fotografia. È però indubbio che la fotografia italiana stia cercando le sue nuove strade, quelle dell’arte e della poesia, ed è mia convinzione che in questa ricerca la cultura sarà di grande aiuto, non la cultura libresca ma quella diventata vita e quindi mezzo di profonda comprensione e di continua scoperta del mondo e degli uomini.
Nulla si addice meglio alla fotografia delle parole di Goethe a conclusione del suo saggio sull’occhio umano: ”Non si vede che quello che si sa”. Con l’ingresso nella “Gondola” si avviano nuove relazioni, con tanti fotografi e intense amicizie come quelle in particolare con Paolo Monti e i bolognesi Giulio Parmiani e Francesco Giovannini, destinate a cambiare quel rapporto umano esclusivo con Cavalli.
Ferroni, ormai maturo sotto il profilo tecnico, con lo stimolo dei nuovi compagni di strada, inizia ad esercitare una libertà espressiva per lui irrinunciabile anche a costo di scelte non condivise dal suo maestro. Di quale natura fosse la personalità di Ferroni in materia di autenticità e spirito libertario già ce ne aveva dato prova estrema nella seconda guerra mondiale, un uomo del genere non sarebbe mai stato ingrato verso chi lo aveva aiutato, ma non avrebbe mai rinunciato alla propria libertà espressiva.
Nel 1953 Cavalli e Monti organizzarono a Firenze alla Galleria della Vigna Nuova la mostra “Fotografia italiana 1953”. Ferroni sorprese tutti esponendo “’Architettura della materia”: un energico still-life del frammento di un legno scheggiato dall’accetta, illuminato da luce radente, rappresentato con neri profondi, bianchi puri ed un ampia gamma di grigi.
Noi oggi, sapendo che questo era da sempre stato il soggetto prediletto dal nostro autore, possiamo pensare che questa immagine è stata il naturale coronamento del suo percorso di maturazione, il risultato cercato per tanti anni. Quest’immagine però esposta tra altre, fece scalpore perché rompeva con il chiarismo di Cavalli e iniziava decisamente il nuovo percorso di Ferroni che risentiva della Fotografia Diretta americana, Straight Photography come l’aveva chiamata per la prima volta Paul Strand su Camera Work , genere fotografico nato in antagonismo al Pittorialismo.
All’elogio di Monti fece da contrappunto il gelo di Cavalli che rimase malamente sorpreso da questo mutamento stilistico scelto dal suo allievo, senza consultarlo e in aperta contraddizione col suo stile. Non tutti i componenti della Bussola avevano il carattere di Cavalli, ad esempio Vincenzo Balocchi scrive a Ferroni nel dicembre del 1954: “…io ho due “pupilli”, mio nipote Paolo e Branzi: li lascio liberi di fare qualunque cosa e sono lieto che imparino da se stessi a scoprire il proprio mondo. Mi contento di guidarli nella loro fatica, ma non mi stanco di predicar loro: << fotografate sempre quello che sentite, senza preoccuparvi di ciò che si potrà dire dei vostri lavori, se questi si dimostreranno nati dal vostro cuore avrete realizzato un passo importante>>.”
L’idea di fotografia della nuova generazione di fotografi aveva i caratteri ideologici di una scelta di vita, come fu per Paolo Monti che ne fece il proprio mestiere, che scrive a Ferroni nell’agosto del 1954: “Io penso alla fotografia come fatica e sforzo e soddisfazione quotidiana e ti dirò che il famoso afflato lirico o sentimentale che sia non l’ho mai sentito, nel senso che il vero fotografo è sempre all’erta con sensi, cuore e cervello pronti e scattanti. E ti dirò anche che i momenti più emozionanti sono quelli della camera oscura.
Lì, in quella luce da acquario, nel silenzio rotto solo dal contasecondi, è il vero nostro regno, dove nasce l’immagine creata.” La necessità diffusa era quella di dar forma alla nuova fotografia italiana che cresceva nelle mostre e nei concorsi. A Senigallia si ampliava il numero di persone attirate dalla fotografia, nel 1953 anche Mario Giacomelli si univa al gruppo di amici che si incontrava sotto la direzione di Cavalli e si sentiva l’urgenza di dar vita ad un gruppo che desse adeguata visibilità a questa realtà artistica cittadina.
Cavalli propose di formare un gruppo fotografico, trovando immediatamente consensi entusiastici. Così nacque nel gennaio del 1954 l’organizzazione fotografica “Misa” (dal nome del fiume che attraversa Senigallia) con Direttore artistico Giuseppe Cavalli, Presidente Adriano Malfagia, tesoriere Mario Giacomelli, segretario Ferruccio Ferroni. Al gruppo aderirono gli amici di Bologna Giulio Parmiani e Francesco Giovannini e da Firenze aderirono Paolo Bocci e Piergiorgio Branzi che fece entrare Alfredo Camisa. La “Misa”, dopo il suo avvio entusiasta e l’immediata iscrizione alla FIAF ebbe una vita breve, terminando la sua attività nel 1956,dovuta alle spinte contrapposte che animavano gli orientamenti fotografici dei suoi componenti, fotografi risultati poi in gran parte protagonisti della fotografia italiana del ‘900.
A tal proposito Ferroni scrive a Balocchi nel novembre del 1954: “Quel che conta è la dichiarazione che una fotografia contiene: dichiarazione di un uomo che vive in mezzo agli altri uomini, in una società travagliata da troppi problemi spirituali, così piena di brutte cose, troppo aliena da ogni forma di poesia. … Sono uscito dalla Gondola, quando si è costituita la Misa, con la certezza che nella nuova associazione, a contatto con lui, si sarebbero fatte grandi cose.
Sicuro che la Misa avrebbe portato la parola nuova nella fotografia italiana, in mezzo al gran mare delle idee fritte e rifritte, nella monotonia avvilente di molte mostre, in mezzo all’assenza di genialità, e così via. Invece con la Misa si è fatto ben poco. Ci siamo illusi che bastasse il successo di qualche premio o di una forte percentuale di nostre opere accettate in una buona mostra, per credere che veramente si facesse qualche cosa di buono. Ed invece la fotografia italiana ha bisogno di ben altro.”
Nelle turbolenze della “Misa” sotto la critica, non contrastata da Cavalli, di esercitare una fotografia di esasperato tecnicismo inizia ad incrinarsi il rapporto tra Ferroni ed il suo maestro. Il rapporto di Ferroni con la tecnica fotografica è appassionato e rigoroso, non sempre capito nei suoi contenuti; ad esempio nell’agosto del 1954 Monti scrive a Parmiani: “Ferroni poi si è forse troppo innamorato della sua Hasselblad la quale è così perfetta che ti permette ogni più gratuito trastullo, ogni esperienza soprattutto di resa.
Tutto questo è bellissimo ma il fotografo deve soprattutto rendere se stesso: questa è la vera “resa”. Insomma il buon Ferroni è in panne e ti prego di scrivergli senza far finta di niente, senza dirgli che ti ho scritto ma interessandoti a lui e al suo lavoro.” Immediatamente Parmiani scrive a Ferroni: ”Fotografa più ragazze e più paesaggi aperti e quando fotografi una bella faccia non pensare che è una scopa, ma che è una massa di ormoni e di desideri, fotografala come se tu dovessi baciarla sul serio; vedrai come sarà tutto più semplice e naturale.”
Ferruccio Ferroni ha un rapporto con la tecnica tipico dei fotografi della “Fotografia diretta” tra i quali Ansel Adams è l’inimitabile massimo modello; probabilmente la sua passione scientifica e le conoscenze tecniche gli consentono di apprezzare più degli altri i prodigiosi sviluppi della tecnica fotografica del tempo e questo lo spinge in una solitudine. Il rapporto con Cavalli si fa teso al punto da creare un disagio interiore in Ferroni che lo fa star male, perché suo malgrado si trova ora a vivere una disarmonia non cercata che più volte ha tentato inutilmente di sanare.
Monti in una lettera del marzo del 1955 gli scrive: ”L’ultima tua lettera dove leggo che praticamente sei stato messo al’ostracismo dai vari membri del Misa mi ha veramente nauseato: mai avrei pensato che Cavalli potesse giungere a tanta bassezza e se mi capiterà l’occasione vorrò parlarne e dargli una lezione come si merita. Ma anche quei quattro vigliacchetti del Misa mi fanno pena e se li incontrerò a Castelfranco il 19, alla inaugurazione della mostra, dirò loro che non basta essere buoni fotografi per essere considerati uomini e specialmente uomini onesti”.
Rotto l’incantesimo del Misa, Ferroni è invitato da Monti a tornare ne “La Gondola”. Dal 1955 al 1957 ritorna nel sodalizio veneziano, riprendendo l’importante attività espositiva che il circolo promuove. Nel 1957 solo lui e Monti sono invitati a rappresentare l’Italia alla Galleria Aujourd’hui organizzata dalla Scuola di Stato delle Belle Arti di Saarbrucken (D) diretta dal Dott. Otto Steinert, a Bruxelles, l’Aia, Colonia e New York.
Continuano le sue intense relazioni umane alle quali si aggiunge in particolare quella con Luigi Corcenzi. In quegli anni l’evoluzione del linguaggio fotografico è vorticosa, iniziano a prendere attività figure nuove come i fotografi free lance e il dibattito sul valore dell’opera fotografica si fa acuto. Monti scrive a Ferroni nell’ottobre del 1958:”Della fotografia italiana cosa vuoi che ti dica? Ho l’impressione che si stia cadendo in una nuova accademia, quella del falso ed inutile realismo che nemmeno è documento mancandogli l’autenticità.
Si pensa che la strada sia la grande scuola e le istantanee si sprecano; si vuole quasi darci dei messaggi fotografati, più o meno sociali naturalmente e perché no? Anche progressivi, tanto costa così poco una istantanea. Invece del momento decisivo siamo al momento inutile. E la grammatica figurativa va a farsi fottere come ha ben fatto osservare Turroni. Per gente pigra come la nostra, pensa che pacchia è diventato far fotografie senza pensare, senza studiare nulla della forma, ma solo affidandosi alla cosiddetta realtà. Peggio è poi quando, consci che una forma ci vuole si fa del realismo grafico!”
Ferruccio Ferroni, un uomo che vive, senza compromessi, valori fondamentali come la sincerità e l’autenticità, soffre molto per la rottura dell’armonia del rapporto umano con Cavalli; e inoltre il suo mestiere d’avvocato gli toglie il tempo e la concentrazione da dedicare all’espressione fotografica, due componenti che lo portano ad abbandonare la fotografia. Tornerà ad essa molto più tardi, nel 1985, probabilmente ritrovando nella propria memoria il patrimonio enorme di valori ricevuto negli anni della sua fotografia militante.
La tematica
La tematica sviluppata da Ferruccio Ferroni è di modalità aperta, nel senso che egli segue gli stimoli della propria acuta percezione. Negli anni ’50 le mostre fotografiche erano organizzate sul modello di quelle di pittura, quindi imperniate sull’opera singola, nella quale si sviluppava il tema enunciato dal titolo.
Di conseguenza, la sua modalità aperta trova un binario preciso negli schemi tematici classici dei saloni fotografici nazionali e internazionali, cioè: la figura umana, il paesaggio, lo still-life, la fotografia situazionista.
Ferroni per sua naturale inclinazione si applica allo still-life, al paesaggio, al ritratto.
Lo still-life ed il ritratto, raramente fotografati in sala di posa, ma colti nella realtà, raccolti come fossero frammenti di un paesaggio.
L’intensa attività espositiva, da lui condotta, è stata lo stimolo nell’orientare la scelta tematica. L’appassionato scambio epistolare con i più importanti protagonisti della fotografia del tempo, gli fa sentire d’essere un attore del processo di rinnovamento della fotografia italiana dell’epoca.
Allora bastava una fotografia improbabile per scuotere l’ambiente, suscitando consensi e critiche, come quando, alla Mostra fiorentina di Via della Vigna Nuova, sorprese tutti con “Architettura della materia”. Quindi non a caso Paolo Monti nel 1954 osserva:“… le mostre italiane sembrano fatte troppo per i fotografi e troppo poco per le persone che, pur non conoscendo nulla di tecnica fotografica, hanno tutti i requisiti di cultura per saper distinguere un opera valida da un foglio di carta al bromuro sconsideratamente esposta sotto vetro.”
La poetica
Anche lui è di quella natura umana che Paolo Monti riconosceva in se stesso: quella di essere “Un visivo visionario” . Probabilmente l’apprezzamento che il grande fotografo aveva delle immagini del nostro autore, trova in questa comune qualità uno dei motivi più profondi. Ferroni, portando all’occhio il mirino della propria fotocamera, cerca con emozione quel “mondo nuovo” che solo la fotografia egli confida gli possa rivelare.
Dalle sue parole: nello still-life “si dedica alla ricerca paziente ed accurata della perfezione della forma, non per essa stessa, ma per esprimere la poesia della materia.”
… “I suoi paesaggi sono fotografati nell’intento di sentir respirare il sole italiano, ed i suoi ritratti vogliono soprattutto comunicare la comprensione del modello.”
Sia nell’immagine figurativa che in quella astratta, il suo atto fotografico persegue il fine di dare una emozionante visibilità alla capacità autoreferenziale dell’immagine fotografica.
Intendendo per autoreferenziale, quella qualità linguistica che la fotografia possiede, quando riesce a comunicare un messaggio proprio e autonomo dal soggetto fotografato. Questo “significare da se” è coerente con l’assioma fondamentale del programma de “La Bussola” scritto da Giuseppe Cavalli: “in arte il soggetto non ha nessuna importanza”.
La riflessione su questo aspetto è centrale nel pensiero visivo italiano della seconda metà del ‘900. Di per sé, è un’elaborazione necessaria per superare lo stereotipo dell’equazione: fotografia uguale a realtà. Un’equazione ingenua, ma profondamente radicata nel pensiero di massa. Ferroni cerca nella fotografia il modo di esprimere un proprio sentimento, quindi una poetica dello straniamento aperto alle soluzioni più improbabili, pur restando nei limiti tecnici della fotografia. Anzi fa propria l’intenzione della “fotografia diretta” americana, che si prefigge di realizzare opere dove lo specifico fotografico è il solo linguaggio visivo che rappresenta il segno mentale.
A differenza della fotografia pittorica, che subito orienta la lettura verso il segno mentale raffigurandolo nell’immagine trasformata della realtà, come nella fotografia di Cavalli, la fotografia diretta conduce al segno mentale attraverso la scoperta materica della realtà. Una suggestione promossa dal sapiente uso delle qualità tecniche del mezzo che, con la scelta di luci rivelatrici, gli consentono di realizzare immagini con il tutto a fuoco e alla massima incisione possibile per descrivere anche il più piccolo dettaglio.
Il passare attraverso la scoperta materica della realtà, per giungere al segno mentale, presuppone un linguaggio visivo consapevole nel generare la metafora, vale a dire: creare un significato trasformato fotografando l’ovvio della realtà quotidiana. Il suo percorso di crescita artistica si ispira al gruppo americano (F64) e in particolare può essere schematizzato prima nella scoperta dell’opera di Edward Weston, poi in quella più astratta e di Minor White.
Il processo creativo
L’identità artistica dell’autore gode di due facoltà innate, che orientano il suo fare: una è la sensibilità estetica, e l’altra è il rigore scientifico.
Nella frammentazione tematica del rapporto con la realtà, che la fotografia singola impone, l’atto fotografico di Ferroni, ha una sua ritualità costante che inizia con la percezione del richiamo di un soggetto, e termina con la scelta visiva che è per lui il segno di una cognizione raggiunta.
La percezione è una necessità interiore dovuta alla sua innata sensibilità visiva e poi educata dalle conoscenze letterarie, pittoriche e fotografiche. La scelta visiva è una urgenza espressiva compiuta con consapevolezza estetica e tecnica, per giungere alla rappresentazione della propria conoscenza soggettiva della realtà. Il suo atto fotografico si impernia nell’inquadratura, e ciò presuppone una grande sintonia con la fotocamera.
Detesta la faciloneria, cerca continuamente l’eccellenza tecnica del mezzo impiegato. Nel lento rituale della Slow Photo (che si contrappone alla Fast Photo ) che lo conduce dallo scatto (percezione) alla stampa (cognizione), egli materializza con la forma rivelatrice della materia il segno mentale, realizzando quel processo creativo che Monti a proposito dello still-life indicava “… come mezzo per strappare segreti alle cose …”.
Conclusioni
Leggendo la sua storia e studiando le sue opere, si conclude che Ferruccio Ferroni dagli insegnamenti e dai consigli ricevuti dagli altri fotografi, ha appreso solo degli strumenti per esprimere quello che aveva già dentro di sé. Nel suo operare è riuscito a relazionare profondamente con grandi fotografi, senza con ciò deviare dal proprio intimo percorso. Le sue immagini, in molti casi, vanno oltre le intenzioni dichiarate: se ci colpisce il tempo sospeso degli still-life, non meno misteriosa è l’aura surreale dei paesaggi.
I ritratti di sovente vanno ben oltre il primo aspetto esteriore del soggetto, e riescono a rappresentare l’inquietudine del mistero esistenziale che anima le sembianze della persona.
Il rinnovamento della visione fotografica è stata un’intenzione costante, che però in lui è sempre andata di pari passo a quella spirituale. Proprio grazie a questa autenticità nell’espressione del proprio sentito, assumono un particolare rilievo le immagini riflesse delle vetrine scattate dal 1985 in poi, perché sono l’indice del suo diverso, più complesso, rapporto percettivo con la realtà.





















